Cittadine italiane, cittadini italiani, sono onorato di rivolgermi a voi, oggi, per la prima volta nelle mie nuove vesti di Presidente del Consiglio. Non amo né le trite formule presidentesi, né l’esternazione di emozioni che devono rimanere private, né tanto meno – ma non è il mio caso – la simulazione opportunistica di emozioni in verità sovrastate dal continuo pensiero dell’emergere della propria gloria o dell’urgere dei propri interessi mondani; non posso però esimermi dal ringraziarvi di cuore, iniziando prima di tutto da voi che non mi avete votato: voi, con le vostre costanti e impertinenti critiche, mi avete costretto a migliorarmi come uomo e come politico – perché le due cose non coincidono affatto. Altrimenti, non le distinguerei: non amo le trite, oziose e autocompiaciute separazioni concettuali tra il ruolo e l’attore. Mi rivolgo, del resto, al popolo, che tali sottili distinzioni non apprezza; né con questo intendo dire che non mi rivolgo anche all’élite che tali sottigliezze invece sa apprezzare, perché in verità io mi rivolgo a tutti, popolo ed élite -, mi avete costretto a divenire più forte delle vostre sciocche critiche. Passo poi, in tono dimesso perché serenamente, placidamente grato e orgoglioso, a ringraziare anima e corpo chi invece mi ha votato, aiutandomi ad accrescere una fiducia in me stesso che fin da bambino è stata in me nettamente inferiore alle mie effettive capacità.
Il mio ringraziare non può né deve bastarvi, cari concittadini: vi prometto dunque che da domani, anzi – da stasera, a casa, con il mio portatile, dopo aver addormentato i bambini con favolette naturalmente non politiche – mi metterò politicamente al lavoro per far sì che le promesse fatte si trasformino in fatti promessi.
Più posti di lavoro, pagati meglio, con più diritti; maggiori profitti aziendali, con migliori rapporti umani tra i lavoratori subordinati e i datori di lavoro sovraordinati; un programma ambientalistico di grande respiro. Ci arriveremo, non voglio illudervi, in una decina d’anni, perché ci arriveremo veramente e, quando vi saremo giunti, non torneremo più indietro.
Sento sollevarsi dei lievi e rispettosi mormorii tra voi. Non vi preoccupate, non ho dimenticato il nostro fiore all’occhiello, il cuore pulsante del nostro programma: la democrazia diretta.
Fino a oggi, la democrazia è stata sì diretta, ma da altri. I partiti politici – noi non apparteniamo a questa categoria; né io appartengo in effetti ad alcun noi, fatta salva la mia umanamente infinita gratitudine verso il movimento politico che, vinte le elezioni, ha scelto di indicarmi come candidato alla Presidenza del Consiglio – hanno utilizzato, negli ultimi anni in modo sempre crescente, la politica per i loro interessi di parte; la democrazia rappresentativa è dunque stata, perdonatemi la reiterazione del gioco di parole, da loro diretta da dietro le quinte: il parlamento è stato privato, così, del suo ruolo.
Con la democrazia diretta a distanza, ossia con la possibilità – e l’obbligo, almeno per qualche anno, a fini educativi – di votazione collettiva online di tutte le leggi estesa a tutti i cittadini italiani, questa sì una forma di democrazia capace di autenticamente rappresentare il popolo, il parlamento non potrà più essere “privato del suo ruolo”, poiché naturalmente il parlamento non sarà più necessario.
Sento ancora dei soffusi, ma ora più decisi, mormorii. Non vi preoccupate, il parlamento non vi mancherà affatto. Ogni legge sarà votata da voi, ogni legge, capite? Una vera rivoluzione democratica.
Presidente! Presidente! Presidente, mi ascolti! Mi ascolti!
Fatelo parlare, per favore – non lo trascinate via così volgarmente. Mi interessa confrontarmi con tutti, si tratti di membri del popolo – come in questo caso – o dell’élite. Lasciatelo stare e dategli un microfono.
Grazie Presidente, grazie tante. Grazie di cuore. Le volevo fare una domanda, ma prima di procedere, mi scusi… lei appartiene all’élite o al popolo?
Ieri le avrei detto all’élite, domani le dirò al popolo, oggi le dico… a tutti e due. Proceda pure, simpatico e ironico signore.
Bene, Presidente: visto che lei è anche élite, mi esprimerò come a élite si confà, senza con ciò lesinar sortite nel brusco idiom del volgo. Dunque, ecco quanto desideravo domandarle, Signor neopresidente, o – se preferisce – Presidente Giuseppe Marchese: il movimento che l’ha candidata al ruolo che da oggi lei ricopre ha duramente combattuto, quattro anni fa, contro una riforma costituzionale che prevedeva la sostanziale liquidazione, mediante referendum, del Senato della Repubblica. Con il vostro attuale programma, abolendo il Parlamento della Repubblica si andrebbe ad abolire non solo il Senato, ma anche la Camera dei Deputati. Non le appare tutto ciò vagamente, tendenzialmente, orientativamente, incoerente?
Mi aspettavo un linguaggio diverso da quello, decisamente medio, senza alti né bassi, da lei usato: aveva promesso voli elitari e picchiate volgari, invece niente di tutto questo.
Vorrà dire che appartengo alla classe media – impoverita, certo, come lei ha fulmineamente notato dal mio aspetto e dal mio abito. Però non mi ha risposto, Presidente Marchese.
Il parlamento non sarà realmente abolito, caro cittadino medio; semplicemente, esso sarà trasferito nelle case di tutti gli Italiani.
Forse la sua attuale funzione di semplice ratifica quantitativa delle decisioni prese in altre sedi – riunioni di partito, riunioni di governo, riunioni del gruppo Bilderberg, eccetera – potrà essere trasferita nelle case, ma la sua autentica, reale funzione, consistente nel libero confronto di idee in uno spazio pubblico, non lo potrà mai. Perché fingete di non saperlo? O forse siete così ingenui da non averci pensato?
Il parlamento non è mai stato un vero spazio pubblico: è stato sempre occupato e privatizzato dai nemici del popolo. Ora, noi lo portiamo al popolo.
Ma non era anche dalla parte dell’élite, lei?
Certamente: l’élite di esperti, competenti e tecnici, nella nostra nuova concezione della politica si occuperà di applicare nel migliore dei modi le decisioni prese dal popolo.
E chi deciderà quali decisioni dovrà prendere il popolo?
Altri esperti, naturalmente. Alla fine, di cosa mai si preoccupa, lei? Perché è così nervoso quando si esprime, così poco conciliante? Dovrebbe guardarsi dentro, alla ricerca delle reali cause del suo nervosismo e della sua insoddisfazione, invece di sfogarsi disfattisticamente contro chi prima sogna, poi progetta, infine realizza un vero cambiamento.
Era meglio se mi portavano via, prima. Ora sto peggio. Per favore, guardie, portatemi via.
No, fermi! Lasciatelo lì. Ogni cittadino ha il dovere, non solo il diritto – ha il dovere di confrontarsi con gli altri. La vera, la nuova democrazia è anche questo.
Voglio andare via! Lasciatemi, lasciatemi!
Lei resterà lì dov’è finché non mi avrà convinto, signore caro. Se riuscirà a convincermi, mi dimetterò.
(AC, 2020)